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ARGOMENTI

PAOLO ARDOINO: L’ITALIANO MULTI MILIONARIO FONDATORE DI USDT

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Origini di Tether: da Realcoin alla stablecoin ancorata al dollaro

Il token Tether (USDT) affondò le sue radici nel 2014, quando un piccolo team di pionieri cripto lanciò un progetto chiamato Realcoin.

L’idea nacque da Brock Pierce, imprenditore nel settore Bitcoin, insieme a Reeve Collins e Craig Sellars, con l’obiettivo di creare una criptovaluta stabile ancorata 1:1 al valore del dollaro.

Realcoin venne costruita inizialmente sul protocollo Mastercoin (poi noto come Omni Layer) sulla blockchain di Bitcoin, consentendo di “digitalizzare il dollaro” – cioè di trasferire token rappresentativi di valuta fiat tramite la rete Bitcoin.

L’innovazione chiave era quella di “ancorare” (to tether in inglese) ogni token a un dollaro depositato in riserva, eliminando la volatilità tipica delle criptovalute: “Questi asset sono creati e distrutti al volo... rappresentano semplicemente i dollari nel nostro conto bancario”, spiegava Collins nel 2014.

Ogni Realcoin doveva essere sempre riscattabile per un dollaro reale, in modo trasparente e con riserve custodite in banche tradizionali.

Sin dall’inizio, i fondatori enfatizzarono infatti la volontà di mantenere riserva totale e trasparenza, sottoponendo i fondi a verifiche indipendenti (un proposito che, col senno di poi, avrebbe incontrato ostacoli negli anni successivi).

Nell’ottobre 2014 furono emessi i primi token Realcoin, ma dopo poche settimane il team decise un cambio di nome strategico: a novembre il progetto venne ribattezzato “Tether”, per sottolineare il concetto di collegamento diretto tra token digitali e asset.


“Non siamo un altcoin o una blockchain a sé stante – siamo un servizio, un token che rappresenta dollari... Tether significa un legame digitale con un asset reale, in questo caso valute fiat”, dichiarò il CEO Reeve Collins presentando il rebranding.

Contestualmente, Tether annunciò partnership cruciali per l’adozione: in particolare un accordo con Bitfinex, uno dei maggiori exchange di criptovalute con base a Hong Kong, che accettò di integrare USDT sulla propria piattaforma.

Questa mossa – abbinata ad accordi con altre startup crypto vicine a Brock Pierce – mirava a far sì che fin da subito Tether fosse ampiamente utilizzabile, offrendo agli exchange e ai trader uno strumento stabile per spostare liquidità senza uscire nel sistema bancario tradizionale.

Nel gennaio 2015 Bitfinex attivò il trading di USDT sulla propria piattaforma, marcando di fatto l’avvio della circolazione pubblica della stablecoin.

Ben presto Tether estese la gamma anche ad altre valute: furono introdotti token ancorati all’euro (EURT) e allo yen (all’epoca chiamati EuroTether e YenTether), sebbene USDT – legato al dollaro USA – sia rimasto di gran lunga il prodotto di punta.

In quei primi mesi del 2015, la capitalizzazione di mercato di Tether era ancora modesta (circa 1 milione di dollari a fine anno), ma poneva le basi di un’idea destinata a rivoluzionare il settore: un proxy digitale del dollaro utilizzabile 24/7 sui mercati cripto globali.


Crescita esplosiva e strategie di espansione

Dal 2016 in avanti, Tether iniziò a guadagnare trazione come “colonna portante” per gli scambi in criptovalute.

La sua utilità era evidente: permetteva ai trader di parcheggiare fondi in un asset stabile all’interno degli exchange, evitando i tempi e i costi dei bonifici bancari tradizionali e bypassando i divieti che alcune banche imponevano alle piattaforme cripto.

Il team di Tether puntò su una strategia chiave: massimizzare l’adozione rendendo USDT disponibile su quanti più exchange possibile e su diverse blockchain.

Oltre alla blockchain di Bitcoin via Omni, Tether lanciò versioni su Ethereum (come token ERC-20) e successivamente su altre reti come Tron, espandendo la sua presenza nell’ecosistema.

Parallelamente, Tether affermava di mantenere costantemente una riserva equivalente al 100% dei token in circolazione, semplificando il modello di business al minimo: guadagni esigui su commissioni di emissione e soprattutto sugli interessi maturati dai fondi depositati (immaginando, già in origine, miliardi di dollari di riserve su cui uno 0,5% annuo poteva tradursi in profitti significativi).

“Se controlleremo miliardi in circolazione, basterà mezzo punto percentuale... investiremo quel denaro”, spiegava Collins sulle prospettive di guadagno di Tether.


In pratica Tether si posizionava come ponte tra due mondi: depositi in banche tradizionali da un lato, token crypto in rete dall’altro.

Un fattore cruciale della crescita di Tether è stato il legame con Bitfinex e i suoi dirigenti.

Nel 2014–2015, contestualmente all’ingresso di USDT su Bitfinex, la società Tether Limited venne incorporata nelle British Virgin Islands e di fatto la compagine proprietaria si fuse con quella di iFinex (la holding di Bitfinex).

Documenti emersi successivamente (come i Paradise Papers nel 2017) indicarono che già nel 2014 figure di vertice di Bitfinex – Philip Potter (allora chief strategy officer) e Giancarlo Devasini (CFO) – avevano costituito entità legali per Tether, assumendo ruoli direttivi nella startup.

Mentre Pierce, Collins e Sellars avevano aperto la strada concettuale, furono i dirigenti di Bitfinex a prendere in mano Tether durante la fase di espansione: Jan Ludovicus van der Velde, CEO di Bitfinex, divenne anche CEO di Tether; Devasini – ex medico chirurgo convertitosi alla finanza crypto – è tuttora indicato come il “motore finanziario” di Tether, essendone co-fondatore e principale azionista.

Questo intreccio societario fece sì che Bitfinex fungesse da trampolino di lancio per USDT, garantendone l’adozione immediata su uno dei maggiori mercati di trading di bitcoin e altre crypto. In seguito, molte altre piattaforme seguirono: dal 2017 in poi, USDT è approdato su decine di exchange globali, diventando di fatto la stablecoin più utilizzata al mondo.


I numeri illustrano bene questa crescita: a fine 2016 c’erano circa 7 milioni di USDT in circolazione; un anno dopo, a fine 2017 – anno di boom del mercato cripto – erano esplosi a 1,3 miliardi.

USDT aveva insomma accompagnato la bolla speculativa di Bitcoin e altcoin, fornendo liquidità stabile ai trader che alimentavano i rally e i crolli.

Nei periodi di sell-off molti investitori vendevano criptovalute in cambio di Tether, mantenendo così la posizione in dollari digitali senza uscire dalle piattaforme.

Questo spinse la domanda di USDT sempre più in alto.

Nel giro di altri due anni, malgrado le polemiche (che vedremo a breve), la capitalizzazione superò i 2,8 miliardi nel 2019.

E non si è fermata lì: nel corso del bull market 2020-2021 e oltre, Tether ha continuato a macinare record, toccando circa 83 miliardi di dollari di valore di mercato a metà 2023.

Ad oggi (fine 2025) USDT resta la stablecoin dominante con una quota di mercato stimata attorno ai due terzi dell’intero settore stablecoin, utilizzata quotidianamente per un volume di transazioni che spesso supera quello del Bitcoin stesso.


Controversie e sfide affrontate da Tether

Nonostante il successo, la storia di Tether è costellata di controversie che hanno messo in dubbio la solidità e la trasparenza del progetto.

Sin dai primi anni, osservatori e addetti ai lavori hanno sollevato la domanda cruciale:

“Come possiamo essere certi che ogni USDT sia realmente coperto da un dollaro in cassa?”.

Per lungo tempo, la risposta di Tether fu appellarsi alla fiducia e a verifiche di terze parti.

Nel 2017, di fronte al moltiplicarsi delle voci secondo cui Tether stesse “stampando” token senza adeguata riserva, l’azienda annunciò la volontà di sottoporsi a un audit finanziario completo. Venne ingaggiata la società di revisione Friedman LLP, che iniziò ad esaminare i conti.

Tuttavia, questo processo non giunse mai a completamento: a gennaio 2018 Tether annunciò abruptamente che la collaborazione con gli auditor era “dissolta” e che un audit formale non sarebbe arrivato in tempi ragionevoli.

La fine del rapporto con Friedman – comunicata senza troppi dettagli – alimentò ulteriormente i dubbi della comunità, rafforzando le tesi dei critici più accesi (come il blogger pseudonimo “Bitfinex’ed”), secondo cui Tether e Bitfinex avrebbero emesso USDT “dal nulla” per gonfiare artificialmente i prezzi di Bitcoin.

Tether negò recisamente queste accuse, ma la mancanza di un audit indipendente rimase un’ombra pesante sulla sua credibilità.

Un momento critico esplose nell’ottobre 2018, quando emerse che Bitfinex – strettamente collegata a Tether – aveva subito la perdita (o più precisamente il congelamento) di una somma enorme: 850 milioni di dollari custoditi presso un suo payment processor esterno, Crypto Capital Corp.

Quelle risorse, appartenenti a clienti di Bitfinex, erano rimaste bloccate tra conti bancari sequestrati e presunte inadempienze del fornitore.


Per tamponare la crisi di liquidità e continuare a onorare i prelievi degli utenti, Bitfinex fece ricorso proprio alle riserve di Tether, attingendo circa 700 milioni di dollari dai fondi che teoricamente coprivano USDT in circolazione.

In sostanza, una parte consistente dei dollari che avrebbero dovuto garantire ogni tether erano stati prestati di nascosto all’exchange per colmare un buco finanziario.

Questo fatto – che contraddiceva la promessa cardine di Tether di essere sempre interamente collateralizzato – emerse pubblicamente solo mesi dopo, quando l’Attorney General di New York (l’ufficio del procuratore generale dello Stato di NY) avviò un’indagine su Tether e Bitfinex nel 2019.

Le autorità accusarono i due intermediari di aver orchestrato un cover-up per celare la perdita e di aver gestito in modo opaco i fondi dei clienti e delle riserve.

La battaglia legale con New York si concluse nel febbraio 2021 con un accordo: Tether e Bitfinex (riunite sotto la holding iFinex) accettarono di pagare 18,5 milioni di dollari di multa e di cessare ogni attività con clienti nello Stato di New York.


Nel patteggiamento non vi fu ammissione di colpa formale, ma il quadro emerso fu piuttosto chiaro. Le autorità conclusero che, almeno tra il 2017 e il 2019, Tether aveva falsamente dichiarato al pubblico che i suoi token fossero sempre interamente coperti da dollari, mentre in realtà in certi momenti la riserva risultava parziale.

Tether e Bitfinex, dal canto loro, sottolinearono in un comunicato che tutti i fondi presi in prestito erano poi stati restituiti con interessi, e che la capacità di Tether di onorare i rimborsi non era mai stata compromessa nemmeno nei momenti peggiori.


Resta il fatto che, dopo questo episodio, la fiducia di parte della comunità fu scossa. In risposta alle pressioni dei regolatori, Tether iniziò nel 2021 a pubblicare attestazioni trimestrali sullo stato delle riserve (redatte da società di revisione specializzate, anche se ancora non una “audit” completa).

Fu inoltre costretta a rivelare, per la prima volta, in cosa fossero investite le riserve: non solo contanti e depositi, ma anche titoli di breve termine come commercial paper, prestiti a istituzioni, etc.

Queste disclosure mostrarono che, per un certo periodo, Tether aveva detenuto una quota significativa di attivi rischiosi (come commercial paper di emitttenti cinesi, stando a varie indiscrezioni di stampa), alimentando timori sulla solidità della riserva.


Un altro capitolo spinoso arrivò ad ottobre 2021, quando anche la Commodity Futures Trading Commission (CFTC) statunitense sanzionò Tether con 41 milioni di dollari di multa per aver diffuso dichiarazioni ingannevoli sulle riserve.

Secondo la CFTC, in varie occasioni tra il 2016 e il 2018 Tether non aveva mantenuto riserve fiat sufficienti a coprire tutti i token in circolazione, smentendo la narrativa pubblica dell’epoca.

Tether contestò alcuni dettagli, sostenendo che l’agenzia in realtà avesse obiettato soprattutto sulla composizione delle riserve (non sempre tenute in contanti liquidi su conti intestati a Tether) più che sulla mancanza totale di collateralizzazione.


Tuttavia, per le autorità quel periodo dimostrò che “l’assicurazione data ai clienti non era vera al 100%, 100% delle volte”, come commentò un commissario della CFTC.

Nel corso degli anni Tether si è trovata anche a fronteggiare accuse riguardo all’uso dei suoi token in attività illecite.

Report giornalistici (ad esempio del Wall Street Journal nel 2023) hanno sostenuto che USDT fosse utilizzato da organizzazioni criminali e persino da gruppi terroristici per spostare capitali, e hanno ipotizzato indagini federali USA in merito ai controlli antiriciclaggio di Tether.

La società ha risposto in modo deciso, definendo tali affermazioni “speculative e infondate” e ribadendo di rispettare le norme KYC/AML e di collaborare con le forze dell’ordine.

Pur mancando conferme ufficiali su queste indagini al momento, l’episodio segnala come Tether – data la sua diffusione globale e la relativa anonimicità – sia costantemente sotto la lente dei regolatori finanziari e delle agenzie di sicurezza, preoccupati che stablecoin così grandi possano aggirare controlli sui flussi di denaro.


Vale la pena notare che, nonostante tutto il FUD (Fear, Uncertainty, Doubt) sollevato attorno a Tether negli anni, finora la stablecoin ha retto a ogni “stress test” di mercato. Anche nei momenti di maggiore panico – ad esempio durante il crollo dell’algoritmica TerraUSD (UST) nel maggio 2022, che fece tremare l’intero ecosistema stablecoin – USDT ha mantenuto la parità col dollaro seppur con brevi oscillazioni sotto 1$, e Tether ha onorato decine di miliardi in richieste di rimborso senza saltare un colpo

Ciò ha gradualmente ristabilito una certa fiducia, tanto che la capitalizzazione di USDT nel 2023 ha raggiunto nuovi massimi storici.

Tether ha anche dichiarato di aver ridotto a zero la propria esposizione in commercial paper, concentrando le riserve in asset più sicuri come titoli di Stato USA a breve termine.

Resta però aperta la questione dell’audit completo: a più riprese i dirigenti (come il CTO Paolo Ardoino, divenuto CEO nel 2023) hanno affermato di essere in trattative con una “Big Four” per una revisione forma, ma al momento la piena certificazione indipendente delle riserve Tether non è stata ancora pubblicata.


Un aneddoto significativo: la crisi bancaria del 2017 e il “salvataggio” portoricano

Un episodio emblematico delle sfide affrontate da Tether si svolse dietro le quinte nel 2017, evidenziando sia l’ostilità del sistema bancario tradizionale verso le società cripto, sia l’ingegnosità (e azzardo) con cui Tether superò una potenziale crisi.

All’epoca, Tether appoggiava le proprie riserve presso banche in Taiwan, ma a marzo 2017 queste ultime – su pressione del loro corrispondente Wells Fargo – bloccarono improvvisamente i canali bancari a Bitfinex e Tether, tagliandole fuori dal sistema SWIFT.

Improvvisamente la società si ritrovò senza un conto bancario funzionante dove detenere i milioni di dollari a garanzia degli USDT in circolazione.

Era una situazione pericolosa: senza accesso alle banche, Tether non poteva né incassare né rimborsare dollari ai clienti, mettendo a rischio la sua stessa ragion d’essere.

La soluzione arrivò pochi mesi dopo da un luogo inaspettato: Puerto Rico.


Nel maggio 2017, Bitfinex riuscì ad aprire un conto presso Noble Bank, una piccola banca dell’isola caraibica nota per essere crypto-friendly. Il dettaglio curioso è che Noble Bank era stata co-fondata proprio da Brock Pierce – lo stesso co-fondatore di Tether – insieme al banchiere John Bettsamycastor.com.

In pratica, uno dei “padri” di Tether contribuì a fornire un’ancora di salvezza al progetto tramite una sua iniziativa bancaria.


Tuttavia, per alcuni mesi Tether non aveva ancora un conto proprio nemmeno presso Noble. Secondo gli accertamenti successivi del procuratore di New York, fino a settembre 2017 Tether lasciò gran parte del denaro in un deposito fiduciario gestito dal suo avvocato generale (Stuart Hoegner) presso una banca in Canada, mentre centinaia di milioni di dollari destinati alle riserve furono commistionati dentro i conti di Bitfinex su Noble Bank.

In altre parole, i fondi dei clienti Bitfinex e le riserve di Tether si mescolarono negli stessi conti – una pratica altamente rischiosa e poco ortodossa.


Questa situazione raggiunse l’apice a metà settembre 2017, quando Tether cercò di smentire le voci di insolvibilità commissionando una verifica “istantanea” dei fondi a Friedman LLP. Il 15 settembre 2017 – giorno dell’attestazione – Tether aprì finalmente un proprio conto su Noble Bank e, poche ore prima che i revisori controllassero i saldi, Bitfinex trasferì circa 382 milioni di dollari dal suo conto Noble a quello di Tether.

Grazie a questo spostamento lampo, quella sera Tether poté esibire documentazione di riserve liquide combacianti con i circa $442 milioni di USDT allora in circolazione.

L’attestazione di Friedman, pur con molte cautele, dichiarò che al 15/9/2017 i conti di Tether detenevano fondi sufficienti a coprire i token emessi – senza però far menzione del retroscena su come i soldi fossero arrivati lì proprio quella mattina.

Solo anni dopo, grazie all’indagine della NYAG, si scoprì questo retroscena quasi da spy story finanziaria, che evidenzia i contorsionismi operativi che Tether dovette effettuare per navigare un contesto bancario ostile.

L’aneddoto, se vogliamo, mostra due facce della medaglia: da un lato la determinazione (o spregiudicatezza) del team di Tether nel mantenere a galla il peg anche in situazioni limite; dall’altro il motivo per cui in molti iniziarono a interrogarsi sulla reale trasparenza dell’operato aziendale.


Impatto sul mondo delle stablecoin e degli investimenti crypto

Al netto delle polemiche, l’impatto di Tether sull’industria crypto è stato dirompente. USDT è di fatto la stablecoin che ha definito il concetto stesso di criptovaluta ancorata, diventando un infrastruttura fondamentale dei mercati digitali.

Prima del 2014, scambiare cripto contro dollari richiedeva l’intervento di banche o piattaforme centralizzate lente; grazie a Tether, i dollari “tokenizzati” possono muoversi quasi istantaneamente su blockchain, facilitando l’arbitraggio tra exchange, la liquidazione nei momenti di volatilità e l’accesso ai mercati globali anche a operatori fuori dagli USA.

In Paesi con divieti o restrizioni valutarie, USDT è diventato un sostituto ufficioso del biglietto verde – ad esempio in Cina, dove per anni i trader OTC hanno usato Tether per bypassare le limitazioni sui capitali.

Nel trading quotidiano, stablecoin come Tether hanno aumentato l’efficienza: ad oggi la coppia BTC/USDT (bitcoin contro tether) è tra le più scambiate al mondo, proprio perché USDT funge da denominatore stabile per il prezzo delle criptovalute.

L’invenzione di USDT ha anche ispirato un intero ecosistema di stablecoin successive.

Oggi esistono alternative come USD Coin (USDC) di Circle/Coinbase, Binance USD (BUSD), la decentralizzata DAI di MakerDAO e molte altre – ma Tether è rimasta leader, in parte grazie al vantaggio del primo arrivato e in parte per la sua ubiquità sulle piattaforme exchange.

Le vicende di Tether hanno richiamato l’attenzione dei regolatori mondiali sull’importanza sistemica delle stablecoin: le autorità temono che un collasso improvviso di una stablecoin gigante possa scuotere i mercati crypto e forse anche i tradizionali.

Il caso del collasso di TerraUSD nel 2022 – pur trattandosi di un asset algoritmico molto diverso – ha evidenziato i rischi di contagio, ma al tempo stesso ha consolidato la posizione di Tether: molti investitori, scottati da Terra, sono tornati verso stablecoin “fully backed” come USDT, facendo aumentare ulteriormente la domanda.

Anche le banche centrali hanno accelerato i piani per le CBDC (valute digitali di banca centrale), in parte per rispondere alla diffusione di surrogati come Tether che prosperano in un vuoto normativo.


Dal punto di vista degli investimenti, Tether ha offerto agli operatori cripto uno strumento in più di gestione del rischio. Prima, chi voleva uscire da Bitcoin durante un crollo doveva convertirlo in dollari “veri” subendo giorni di attesa e magari tasse; con USDT, si può effettuare una rotazione in pochi secondi restando nell’ecosistema digitale.


Ciò ha probabilmente contribuito alla crescita del volume e della velocità dei mercati cripto, rendendo più facile entrare e uscire dalle posizioni.

D’altro canto, la fiducia verso Tether è diventata essa stessa un parametro di rischio monitorato da trader e analisti: periodicamente, eventi come le inchieste legali o i ritardi nel pubblicare attestati di riserva hanno causato brevi flessioni del peg di USDT (ad esempio scendendo a 0,97-0,98$ sul mercato), segno che il mercato prezza una piccola probabilità di uno scenario estremo in cui Tether possa non reggere.

Finora questi timori non si sono materializzati; anzi, Tether ha iniziato a generare profitti enormi grazie ai tassi di interesse cresciuti nel 2023-2024, registrando utili per oltre 13 miliardi di dollari nel 2024 grazie agli investimenti delle riserve in titoli USA.

Paradossalmente, la stessa opacità che molti criticavano (ovvero l’utilizzo delle riserve per investimenti e prestiti) è diventata fonte di redditività, trasformando Tether in una sorta di “banca centrale” privata delle criptovalute.


Nel bene e nel male, l’invenzione di USDT ha aperto la strada a un nuovo paradigma di asset digitale stabile, cambiando per sempre il modo in cui investitori e aziende interagiscono con le valute nel contesto blockchain – un impatto paragonabile a quello che ebbe l’invenzione delle banconote convertibili secoli fa, traslato nell’era di internet decentralizzato.

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